giovedì 4 luglio 2013

Resoconto Sarau- 22 Giugno 2013

Ecco il resoconto del Sarau.
Ringraziamo Fabio dell'attenta e originale descrizione della serata.



SARAU 2013 – parte I



ovvero


SARAU 2013 – parte I
ovvero
COSA NON SI FA CON SEI BIRRETTE IN CORPO…

Se vi aspettate un resoconto dettagliato e puntiglioso della serata di sabato 22 giugno 2013 siete fuori strada.
Già dal titolo dovreste averlo intuito, ma preferisco mettere le mani avanti per non sentirmi poi rinfacciare da qualcuno: «Non hai parlato di questo»  o: «Ti sei dimenticato di quell’altro».



PRIMA DELLA PRIMA BIRRA
Il mio Sarau comincia verso le 14 in piazza Caricamento, quando il marito di Carla mi consegna alcuni sacchi di materiale e un grosso mazzo di ortensie da portare in vico Indoratori, nella piazzetta dei Ragazzi.
Cornice stupenda, un angolo di Genova medievale fuori dal tempo, che si presterebbe alle più dolci riflessioni sul bello della vita se non fosse per l’abnorme concentrazione di mosche, moscerini e zanzare che prendono d’assalto l’area delle panchine, dove mi siedo in cerca di un quarto d’ora di pace.
Sto considerando l’ipotesi di appendervi dei festoni di carta moschicida invece di quelli di plastica multicolore del marito di Carla, quando Benicia mi chiama al telefono e mi prega di raggiungerla al capolinea del 13 per dare una mano a lei e a Ronaldo a scaricare la strumentazione necessaria all’allestimento della festa.
Ronaldo davvero è un personaggio fuori dal comune, non solo per le sue indubbie doti artistiche ma anche per il suo ottimismo brasileiro.
Nessuno gli ha spiegato che stiamo andando al Sarau e non a fare da supporters alla tournée dei Rolling Stones: si presenta infatti con una cassa acustica di dimensioni enormi; due più piccole ma ancor più potenti; la sua immancabile chitarra con custodia annessa; un microfono con asta di sostegno che si divertirà a tritarci gli zebedei; un borsone contenente un masterizzatore, dei cd e vari chilometri lineari di cavo elettrico, più un trolley pieno di altra roba e un carrellino che dovrebbe – nelle pie intenzioni di Ronaldo – contenere tutto ‘sto armamentario e trasportarlo sino a vico Indoratori.
La già citata asta del microfono trasforma però il tragitto in una sorta di penitenza per il malcapitato Ronaldo, insinuandosi fra i suoi piedi ad ogni passo e rivelandosi refrattaria a tutti i nostri tentativi di fissarla al bagaglio con elastici, cordicelle e tiranti. Salutiamo quindi l’arrivo a destinazione con un moto di comprensibile gioia, impadronendoci di alcune seggiole e tavolini del ristorante “Ombre rosse” a cui devo un grosso ringraziamento per la tolleranza dimostrata nei nostri confronti di usurpatori.
Se non fosse per Valentina, però, nessuno avrebbe provveduto a disporre le ortensie in alcuni vasi di plastica per decorare i tavolini. Peccato che per mantenerle fresche si possa attingere l’acqua solo a una fontanella collegata a un rubinetto, con un nebulizzatore a 18.000 atmosfere che solo a sfiorarlo ci laviamo dalla testa ai piedi come se fossimo sotto le cascate dell’Iguaçu. Pazienza, è una giornata di sole, ci asciugheremo.
Lo scotch adoperato per fissare cartelli e striscioni è invece gentilmente offerto dal mio principale. A sua insaputa, ovviamente, ma del resto a questo mondo esiste persino chi ha pagato l’affitto di casa all’on. Scajola ad insaputa dell’on. Scajola stesso…
Ad ogni buon conto sarà meglio se mantengo segreta l’identità dell’azienda per cui lavoro: non vorrei che il mio principale si accorgesse della sottrazione di un rotolo di scotch e se ne avesse a male, con pesanti conseguenze sul mio futuro occupazionale.
Per non pensarci, mi faccio la prima birretta.
DOPO LA PRIMA BIRRA
Sara e Ilda si presentano puntualissime alle 17, ora presunta d’inizio del Sarau.
Buon per loro perché così si assicurano un tavolino in prima fila, ma all’orario in questione i preparativi sono in pieno svolgimento.
L’arrivo di Daniele, munito di macchina fotografica con telecamera incorporata, ha una duplice funzione.
Da un lato è lì per ricordarmi che ogni mio movimento verrà immortalato, immesso su YouTube e soprattutto usato per demolire impietosamente quel briciolo di reputazione che ancora conservo. Dall’altro è la scusa migliore per dare il via alla nostra maratona etilica, scandita dalle lattine di Moretti da 0,33 dell’Associazione Luanda.
Chi non vuole alcolizzarsi prima del tempo può invece gustare le prelibatezze servite da Angela, Marta e Benicia fra cui spiccano le torte di verdura e i fagottini allo zafferano, che al di là dei loro sapori squisiti spiccano per i colori vivaci, in tema con lo spirito del Sarau.
Strepitosa anche la bevanda alla menta giudiziosamente scelta da Sara, ma trovandomi fianco a fianco con quel vecchio reprobo di Daniele non posso che dirigermi sulla seconda birretta.
DOPO LA SECONDA BIRRA
E’ finalmente ora di cominciare.
A introdurre l’evento è Maria Eugenia e so di averlo già detto mille volte, ma la sua voce una straordinaria capacità di modulare i toni, alternare i discorsi alle pause e scegliere i tempi giusti degli interventi. Coinvolge insomma il pubblico come una professionista della comunicazione, grazie a un linguaggio semplice ma estremamente efficace che cattura l’attenzione di chiunque la ascolti.
Si parte dunque con le danze occitane.
Daniele e io veniamo gentilmente invitati a unirci al cerchio dei ballerini ma il nostro diniego non è frutto di snobismo o timidezza: abbiamo tracannato soltanto due birrette, siamo troppo sobri per un compito tanto impegnativo.
Non possiamo che osservare divertiti la nostra mascotte Samira mentre trascina il suo reticente cavaliere Gabriel nel vortice delle danze, dal quale il buon Gabriel esce piuttosto sconcertato. E’ solo un primo assaggio di quello a cui il genere femminile ti sottoporrà, amico mio: meglio che impari subito la lezione prima di farti cogliere alla sprovvista senza sapere a cosa andrai fatalmente incontro…
Rimasta senza compagno di ballo, l’intraprendente Samira non si perde d’animo e si avvinghia pericolosamente al palo di un ombrellone. Mi sento in dovere di avvisare il suo papà Roberto che dalle parti di Arcore c’è qualcuno che ha ripetutamente dimostrato di apprezzare le giovanissime che ballano la lap-dance, offrendo loro un futuro fra i banchi di Parlamento e consigli regionali vari: non vorrei mai che ora mettesse gli occhi su Samira come testimonial di un nuovo miracolo italiano, sapete com’è…
Terminati i balli occitani approfitto della pausa per salutare Simo e per conoscere una simpatica ragazza in dolce attesa. La sua pancia è talmente tonda che temo di dover afferrare il microfono da un momento all’altro e urlare: «Presto, fate bollire dell’acqua!» come si faceva nei film americani di quando ero bambino.
All’epoca pensavo ingenuamente che servisse per celebrare il lieto evento con una spaghettata improvvisata fra cavalli e diligenze, ma in questo caso la piccola Vittoria ha deciso di restare ancora un po’ nel pancione della sua mamma e io decido comunque di festeggiare la nascitura con la mia terza birretta.
DOPO LA TERZA BIRRA
Non me ne vogliano i ballerini occitani, ma saranno le birrette, sarà che la serata sta salendo di tono, però la mia attenzione e i miei sensi subiscono una brusca impennata quando Valentina e le sue amiche della palestra ci presentano un saggio di Movida Fitness (o Fitness Movida? Come caspita faccio a ricordarmi questi dettagli, secondo voi?).
Questa attività richiede un dispendio calorico spaventoso, ad occhio e croce il quintuplo di una giornata lavorativa di un boscaiolo del North Dakota, ma le avvenenti e atletiche fanciulle sembrano non curarsene minimamente mentre si dimenano davanti a noi.
Il variopinto piumaggio da loro indossato non resiste però a tante sollecitazioni e ben presto finisce per ricoprire il suolo della piazzetta, riducendolo in qualcosa di molto simile al pavimento della polleria Ignazio di via Venezia, dove nei primi anni ’70 mia madre mi mandava a comprare le uova fresche a 60 lire l’una.
Tutta quell’energia in movimento mi ha messo sete.
Basta una rapida occhiata ed ecco che nelle mie mani e in quelle di Daniele si materializza la quarta lattina di birra, necessaria per riprenderci dalle emotions in motion proposteci da Valentina e socie.
DOPO LA QUARTA BIRRA
Dopo tanto dinamismo ci vuole davvero una parentesi rilassante.
Un amico capoverdiano ci legge alcuni testi sia in portoghese che nel suo dialetto d’origine, ma gli effetti della Moretti sui miei riflessi e sulla mia vescica m’impediscono di seguire il filo della narrazione.
Ronaldo mi giunge però in soccorso, confortandomi con le sue parole: «Se devo dire la verità, il capoverdiano lo capisco poco anch’io». Meno male, se non lo capisci tu che sei sobrio e sei paulista, figurati il sottoscritto zeneize e mezo imbriægo…
Il guaio è che il mio cervello rimane in stand-by prolungato senza dar segni di volersi riaccendere. Neppure la voce di Roberto riesce a risvegliarmi dal coma, nonostante io muoia dalla voglia di ascoltarlo mentre ci legge i racconti scritti da Elena, che sono sempre una garanzia di originalità.
Da un momento all’altro potrebbe toccare a me e sono ridotto peggio dei protagonisti di Trainspotting, ma per mia buona sorte Daniele ha la risposta giusta al problema.
Bisogna effettuare il richiamo, come quello delle antitetaniche che ci facevano da bambini: per neutralizzare gli effetti nefasti delle prime quattro birre dobbiamo farci la quinta.
E così sia…
DOPO LA QUINTA BIRRA
Daniele aveva ragione: dopo la quinta birra la vita torna a sorridermi.
Al mio ritrovato ottimismo contribuisce Fernando, che in compagnia di una dama muy hermosa balla sulle note di “Guayaquileño madera de guerrero” con passione e trasporto, come peraltro preannunciato al microfono da Priscila.
Il tempo di complimentarmi con lui, di assistere all’ennesimo infruttuoso tentativo di Roberto di tenere a bada la scatenata Samira, ed ecco che a sorpresa Maria Eugenia annuncia il mio turno.
Ma come, così, senza preavviso? E dov’è finito Ronaldo, che deve accompagnarmi con la sua chitarra?
Sono colto da un senso di completo smarrimento, provo a dissimularlo farfugliando qualcosa d’incomprensibile in genovese, ma la mai unica e ultima ancora di salvezza è sempre lei, la Moretti.
E’ la sesta, speriamo che sia il mio numero fortunato e che mi protegga dal fitto lancio di ortaggi e gavettoni che gli inquilini dei palazzi prospicienti la piazzetta hanno radunato per liberarsi della mia molesta presenza.
Volete sapere che cosa succede a questo punto?
Datemi un’altra settimana di tempo, che qui altrimenti mi tocca stare in piedi anche di notte per terminare il resoconto. E per giunta, sono rimasto senza birre nel frigo…

SARAU 2013 – parte II

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E’ TUTTA COLPA DI LUANDA SE…

DOPO LA SESTA BIRRA
Premessa per tutte le lettrici donne: qualsiasi uomo, quando si trova sotto la doccia, viene preso dall’impellente necessità di cantare. Il problema nasce se da dietro la porta vi arrivano le parole di “Gelato al cioccolato” di Pupo o “Non dirgli mai” di Gigi D’Alessio: in quel caso chiamate subito il 118 perché la situazione è davvero grave e si rende necessario un ricovero coatto in clinica psichiatrica.
Sette mesi fa, mentre mi stavo lavando, presi a canticchiare “A garota de Ipanema” e mi venne l’idea di tradurla in genovese. Proporla in pubblico è però tutta un’altra storia, specialmente per chi come me non si è cimentato in simili esibizioni e per giunta di voce ne ha poca.
Meno male che mi soccorre Ronaldo, che con la sua flemma prende in mano la situazione e con la sua chitarra rimedia alla mia imbarazzante prestazione di cantante di bossa nova.
Cosa passi nella testa degli spettatori, però, non lo so: scrosciano gli applausi, mi viene richiesto il bis e ne fa le spese lo sventurato Angelo, che trovatosi per caso nei miei pressi finisce per essere trascinato in uno squinternato duetto con il sottoscritto.
Stretti stretti intorno al microfono sembriamo Al Bano e Romina Power (o forse dovrei dire Ciccio e Franco), ma il mio affezionato compagno di banco del “Grupo de Lectura” non ne sembra entusiasta, tant’è che al termine della nostra performance mi comunica seduta stante la fine della nostra amicizia.
Affranto per il dolore e pentito per la mia scelleratezza, non trovo altro sistema per consolarmi se non fa fuori la settima birra della serata.
DOPO LA SETTIMA BIRRA
Mi sono liberato del peso dell’esibizione, è vero, ma il Sarau non finisce qui. Se prima, però, il mio livello di attenzione era assai traballante, ora sono in una condizione prossima alla morte cerebrale.
Provo a sedermi al tavolo con Sara e Daniele: le nostre amiche brasiliane si lanciano in una delle loro danze scatenate ma la mia testa ondeggia come un punching-ball durante un allenamento di Mike Tyson. In poche parole, non ci capisco più un tubo.
Mi sforzo di alzarmi in piedi e di seguire da vicino la scenetta successiva in cui recita Benicia, ma oltre al mio stato pietoso interviene un inconveniente del tutto inatteso.
Benicia, infatti, non trova più i suoi abiti di scena e si arrangia prendendo in prestito la camicia di uno degli spettatori: tutto ciò che ricordo si limita a questo e allo stupore nel sentirla parlare con un accento beneventano degno dell’on. Clemente Mastella.
Quanto ai suoi vestiti, sarò mezzo ubriaco ma sono certo di conoscere il colpevole.
E’ il saci-pererê, lo spiritello brasiliano che si diverte a far attaccare i fagioli sul fondo della pentola per farteli bruciare, o a nasconderti la carta igienica quando ti chiudi nel bagno in preda a un violento attacco di colite.
Il saci-pererê non guarda in faccia a nessuno ed è refrattario a qualsiasi antidoto. Qualsiasi, tranne uno!
Mi aspetta un finale carico di responsabilità e non posso farmi fregare da un folletto paulista in vena di scherzi perfidi: vai con l’ottava birretta e al saci-pererê non resta che battere in ritirata.
DOPO L’OTTAVA BIRRA
Non so perché al termine della serata sia toccato a me l’onore di ricordare Don Gallo e di dedicargli il Sarau, ma quando intoniamo in coro “Bella ciao” la mia mente si snebbia di colpo e anzi, ho un forte moto di commozione che mi fa brillare gli occhi.
E non posso fare a meno di pensare a Luanda: sia io che Benicia sappiamo perfettamente che è stata lei a farmi cantare in pubblico, perché io non mi sarei mai e poi mai sognato di farlo.
Sarebbe bello restare in compagnia e andare in un pub ad assistere alla partita di calcio Italia-Brasile, ma Sara e io siamo allo stremo delle forze, seppure per ragioni diverse.
Salutiamo tutti gli amici e prima di lasciarci alle spalle vico Indoratori, Benicia interviene offrendomi la nona birretta. Otto, nove, ormai che differenza fa? Se la matematica non è un’opinione sono al terzo litro di Moretti ma state tranquilli, in queste condizioni non guido e mi servo dell’AMT.
DOPO LA NONA BIRRA
Tornare a casa in autobus, a San Fruttuoso, equivale a un’odissea nonostante l’ora non sia poi così tarda.
Sara esclama risentita: «Una città senza mezzi pubblici è destinata a morire!» e ha assolutamente ragione, ma c’è di più. Quel poco di vitalità che ci è rimasto è sopravvissuto grazie all’entusiasmo e agli stimoli che ci hanno trasmesso i tanti immigrati che popolano Genova.
Essi hanno saputo catalizzare le energie di quegli zeneixi come noi, che altrimenti si sarebbero dispersi in mille rivoli insulsi o che avrebbero finito per trascorrere una giornata come questa chiusi nelle loro case oppure a leggere un libro a Boccadasse nella migliore delle ipotesi.
Io sono felice e orgoglioso di parlare, scrivere e ora persino cantare in genovese, ma se fra due o tre generazioni nessuno sarà più in grado di farlo pazienza: l’importante è che si parli un linguaggio comune fatto di sentimenti e di valori come la solidarietà, l’uguaglianza dei diritti e la giustizia sociale. Il nostro futuro è fatto di Samira e di Gabriel, non di parole pronunciate con questo o quell’accento: se qualcuno non riesce ad accettarlo, peggio per lui.
E soprattutto si rassegni all’idea che il Sarau tornerà anche nel 2014, ancor più coinvolgente che mai!